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A TE ALDA

20240318_180449Sei un vuoto d’amore

pieno di sentimenti.

Uno spazio dove crescere,

dove poter urlare

un silenzio immane.

Uno sguardo laggiù

dove finisce il mare

e inizia l’infinito,

dove soffoca la paura

e comincia l’incanto

che provoca un brivido tempestoso.

Canti alla luna un inno celestiale

e poi ti fermi a cercare

l’ebbrezza di un momento eterno.

Salva la tua folle pazzia

con dei poveri versi

che saltano come grilli

e hanno il suono delle cicale.

In un attimo scorre

tra ginestre e fiori

un tenero pensiero

di una donna avida

di un dire che non sa,

perché la bestia feroce

di lei si è impadronita

e non fu più amata.

Sei venuta con la primavera

scatenando, non una tempesta,

ma riempiendo d’amore

quel vuoto che ci hai lasciato.

Vittima della follia

che non ha turbato

quel pensiero vagante

e il suo lento fuggire

ha dettato una confusione immensa

generando ciò che il cuore

non riusciva più a contenere…

AMORE D’ALTRI TEMPI

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Chissà se oggi esista un amore così? Chissà se sia solo ad appannaggio dei film o dei romanzi? Ai nostri giorni l’amore viene confuso con il possesso, l’ossessione disperata che sfocia in tragedie. L’amore unisce non divide, penso che il vostro sia stato da esempio per noi figli, FORSE…

Perché il vostro amore è stato UNICO, INDISSOLUBILE. Non si può descrivere, si deve solo vivere per poterlo comprendere. Non potevano stare divisi tanto che mamma ha voluto papà con sé poco dopo e non ha permesso che nessuno fosse accanto a lei nemmeno al cimitero. Quella lapide che non si riusciva a togliere, sembrava incollata, è caduta quel bruttissimo giorno DA SOLA…provate a dire che lassù non esiste un altro mondo. Spero solo sia MIGLIORE di questo…

Ci avete dato TANTO AMORE, peccato che nella distribuzione ci sia stata una forte disparità, dove tanto e dove niente. Diciamo che siamo giusto al 50%…cosa sia successo a quell’altra metà?        Non si sa. Sarà stata una forma caratteriale, sarà stato l’ambiente in cui si è vissuto, sarà stata l’influenza negativa di persone dall’esterno. Ormai è inutile chiederselo, il danno è irreparabile e si vedono i frutti.

Mi auguro che nel salto generazionale qualcuno si sia salvato, anche se con la superficialità dei rapporti ho l’impressione che tanto amore sia andato sprecato. Forse sarà che è veramente roba d’altri tempi, come la moda, i costumi sono variabili e riconducibili a idee molto personali. Quindi dobbiamo aspettare che ogni tanto torni di moda, come i pantaloni a zampa o le zeppe? L’amore non può essere altalenante, dovrebbe essere una costante nel tempo che non si consumi, che non sgretoli l’animo…che non sia solo “fino a che morte non ci separi” ma che vada oltre la morte. Lo abbiamo visto anche nel film sulla storia di “Mameli”…ecco a volte anche una storia vissuta ci può essere d’insegnamento. Coinvolgiamo i nostri giovani a seguire un pochino di più “una programmazione sana” e non la spazzatura che circola quotidianamente non solo in televisione ma anche per strada. Forse così qualcuno potremmo ancora salvarlo.

Grazie per tutto l’amore che ci avete trasmesso e seppur nel mio breve tempo trascorso insieme  penso che non sia mai abbastanza…da distribuire in 365 giorni e non solo a San Valentino!

12.08.2023 – Terranova di Pollino

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Nel pomeriggio di ieri è stata presentata la raccolta delle poesie di Maria Rosaria Virgallita “Piccoli riverberi d’esistenza”

Nel leggere i pensieri di Maria Rosaria, mi piace definire così la poesia perché quando ognuno di noi scrive mette sempre qualcosa di sé, la voce dell’anima, ho trovato ricorrenti tre parole:

1) LA LUNA

2) IL BUIO, LA NOTTE (due facce della stessa medaglia)

3) LA SOLITUDINE

Forse sono quelle che mi hanno colpito di più perché trovo che hanno molto in comune, un concetto a me molto caro, la LIBERTÀ .

La luna che lassù nel cielo, sovrasta con la sua imponenza il buio della notte, per me denota libertà.

Così come chi sta bene con sé stesso, chi sa stare da solo, chi ama la solitudine, come diceva Schopenhauer, ama pure la libertà. “Perché si è liberi unicamente quando si è soli”….liberi di pensare, liberi di fare.

E la parola libertà mi fa pensare anche a Francesco. Io non lo conoscevo bene, quello che lui mi trasmetteva era il suo essere introverso, che sicuramente era una corazza, che scompariva quando cominciava a suonare, sembrava trasformarsi. Forse con la musica riusciva a sentirsi libero, libero di volare verso altre dimensioni. Quelle dimensioni che hanno ispirato le sue melodie, i suoi pensieri, che poi ha trasformato in testi musicali. Un segno tangibile del suo passaggio sulla terra che gli permetterà di non essere più dimenticato…perché lui vive e vivrà per sempre nella sua musica.

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A seguire il dialogo dell’autrice Maria Rosaria Virgallita con la sua relatrice Filomena Valicenti che ha evidenziato in primis le liriche dedicate all’amico Francesco, fonte di ispirazione non solo delle sue poesie ma dell’intera silloge.

Poi si è messo in risalto l’uso della tecnica dell’acrostico presente in molte liriche a cominciare da quella dedicata appunto a Terranova di Pollino, la sua terra di origine, fino ad arrivare a quella dedicata alla sua mamma Ester, momento di grande emozione per tutti. Nei versi di Maria Rosaria troveremo uno spaccato di vita vissuta, di presenze e assenze, di affetti familiari, di ricerche interiori a partire dal suo paese di origine, di aspetti introspettivi alla ricerca di sé. Ci si è chiesti del significato delle parole ricorrenti e quanto la rappresentino soprattutto la solitudine, la malinconia, il mare e la nebbia. Per concludere con un messaggio esplicito alle donne, che non vuole essere una sterile rivendicazione di ruoli, ma esclusivamente un inno dedicato a tutte le donne.

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L’intera discussione è stata impreziosita dalla lettura di alcune liriche da parte di due magistrali interpreti quali Lillina Altieri e Renzo Pagliaroto.

Inoltre si è alternato alla chitarra Giuseppe Di Taranto che ha mantenuto un flusso costante di emozioni facendoci ascoltare alcune canzoni di Francesco.

Una dolcissima finestra all’interno della manifestazione di TerranovArt.

Per concludere un immenso ringraziamento va a tutti coloro che hanno partecipato all’ascolto e a chi ne ha curato la realizzazione.

 

 

ESSERE NON APPARIRE

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Un po’ così, cullarsi tra una splendida semplicità e un’essenza di dignità. In ogni occasione sfoggiare un sorriso che illumina il cuore.                                   Il motto sarà: distinguersi sempre, confondersi mai. Trasmettere sensibilità in un mare di indifferenza, sempre coerente con quello che pensa. Un essere speciale agli occhi amorevoli di chi gli sta vicino, trasmettere sempre sentimenti positivi. Non importa se non sempre sarai compresa,  l’importante è imparare a essere e non ad apparire, dare sempre per poter ricevere, meravigliarsi di ciò che ci circonda per poi stupire.  Insomma un contenitore di emozioni, che ti guarda e sorride con la tenerezza e lo sguardo da bambina.

 

 

FITOCOSMESI IERI E OGGI

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L’uso delle piante officinali si può definire un’arte molto antica. Vengono chiamate “officinali” tutte quelle erbe impiegate nelle “officine” degli speziali, ovvero quegli esperti nelle tecniche di lavorazione, nelle procedure di preparazione e di conservazione di quelle piante che poi saranno utilizzate per realizzare rimedi medicamentosi, pomate, unguenti oltre che cosmetici naturali e pregiate essenze profumate. Con la fitoterapia ci prendiamo cura della nostra parte interiore mentre con la fitocosmesi, quella che tratteremo, sfruttiamo le proprietà della natura per la cura e la bellezza del nostro corpo.

La nascita del trucco ha origini antichissime e prende il via sin dal 4000 a.C. nell’antico Egitto. Nella società egiziana era molto sentita l’esigenza di mantenere uno standard ottimale di salute e bellezza, tant’è che venne considerata la patria del culto della bellezza. A quel tempo il trucco aveva per lo più una funzione religiosa e rituale. Infatti, si riteneva che la bellezza fosse gradita agli dei e per questo motivo potesse proteggere dal male. La cura e l’abbellimento del proprio corpo, sia per gli uomini che per le donne, veniva intesa come esaltazione della bellezza. La cosmesi era praticata da esperti conoscitori di materie prime che, venivano scelte, in modo appropriato alla funzione. Ad esempio, dopo il bagno si usavano preparati a base di oli vegetali mischiati a erbe aromatiche per ammorbidire la pelle, come olio di oliva, mandorle, sesamo, lavanda, incenso, mirra, timo e origano. Inoltre, venivano usati, anche, da sacerdoti e sacerdotesse per colorarsi e profumarsi il corpo in specifici rituali, oltre ad essere ingredienti fondamentali nel processo della mummificazione (le erbe fortemente aromatiche, insieme a oli cosmetici, resine, bacche di ginepro e cera di api, che si rassodavano in una massa nero-brunastra quasi vitrea a forte componente liquida, erano in grado di conservare il corpo, oltre che profumarlo). Questi preparati già all’epoca erano molto costosi, pertanto il trucco era segno visibile di una condizione economico-sociale privilegiata.

Anche nella Grecia Classica ci tenevano molto alla bellezza e ai canoni estetici, tanto che esistevano delle multe per le donne che osavano presentarsi in pubblico con un aspetto trascurato. I prodotti per la cura del corpo, anche a quel tempo, giocavano un ruolo fondamentale. L’olio di mastice insieme alle erbe aromatiche si usava, ad esempio, per evitare l’alitosi. I capelli venivano colorati con una soluzione composta da zafferano e acqua di potassio e frizionati con unguenti a base di vegetali per rinforzarli e proteggerli dal sole. Oli essenziali di rosa, gelsomino e nardo erano usati quotidianamente da uomini e donne per ungere corpo e capelli dopo il bagno. Il trucco era semplice e raffinato: incarnato luminoso, labbra in evidenza grazie all’estratto di oricello e ciglia scure. Una speciale attenzione era riservata ai profumi, che venivano opportunamente scelti a seconda della parte del corpo a cui erano destinati: la menta e l’olio di palma erano rispettivamente applicati su braccia e gambe, il timo alle ginocchia e al collo, la maggiorana alle sopracciglia. Molti dei prodotti usati per la cosmesi nel mondo greco erano importati dall’Egitto, considerato ancora sul finire del I millennio a.C. la vera patria del culto della bellezza.

In seguito alla conquista della Grecia, anche le donne aristocratiche dell’antica Roma, acquisirono la pratica di occupare la maggior parte della loro giornata alla cura del corpo. Il massimo tratto di bellezza per una donna romana era poter sfoggiare una pelle luminosa, rosea e priva di imperfezioni. Non a caso, i Romani si possono a tutti gli effetti considerare i veri inventori delle maschere per il viso, da applicare al mattino o prima di andare a dormire. Esistevano maschere diverse a seconda dell’uso: contro le rughe si applicavano impacchi di riso e farina di fave o il latte d’asina; contro le macchie esistevano maschere a base di finocchio, mirra, incenso, petali di rosa, succo d’orzo. Per sbiancare la pelle si usavano anche cera d’api, acqua di rose, olio di mandorle, zafferano, cetriolo, aneto, funghi, papavero, radice di giglio e uovo, fanghi di creta e farina di fave per l’esfoliazione della pelle.

ALCUNE RICETTE

Crema emolliente e dopobagno

– la crema più semplice era ungere la pelle con olio di labdano (resina che trasudava dalla pianta del cisto), o di dattero, di mandorle, sesamo, ricino, oliva, palma, grano.

– massaggiarsi il corpo con olio di cedro del Libano, che rende la pelle elastica, olio di oliva, lavanda, rosmarino.

– olio di sesamo, olio di mandorle, olio d’oliva, olio di palma.

– cera d’api, olio d’oliva, miele e talco profumato alla lavanda.

– olio di oliva, cera vergine, olio di mandorle e profumo di lavanda.

– olio d’olivo o di sesamo e mirra.

Per togliere il trucco

– latte d’asina, menta e miele.

– olio di ricino, timo e menta.

– olio d’oliva, acqua di malva e di melissa.

Bagno

– rosmarino cotto in acqua, il tutto allungato con acqua fredda.

– timo, mirra, origano, lavanda, cannella cotti in acqua.

– latte di capra, piante di palude, lavanda, menta, rosmarino, semi di finocchio macinati e bicarbonato.

– latte d’asina, petali di rose, cannella e sale.

– latte d’asina con rose, gigli, mirto, alloro, rosmarino e basilico.

Sbiancare la pelle

– bulbi di narciso macerati in acqua e limone.

– polvere di alabastro, olio di oliva e bicarbonato.

– gocce di limone, mirra, polvere di alabastro, olio di mandorle.

Antirughe

– cera d’api, incenso, olio di oliva e latte fresco.

– chiara d’uovo, fogli di menta e miele.

– zucca gialla lessata nel latte, foglie di finocchio selvatico, chiara d’uovo

– olio di mandorle, olio d’oliva, grani d’incenso e bacche di ginepro.

Astringente

– papaveri macerati in acqua gelida come astringente sulla pelle..

Per i capelli

– tuorlo d’uovo, aceto e fiori di iris.

– miele, olio d’oliva, vaniglia, cannella, aceto.

Alito cattivo

– masticare rametti di mirto.

– bicarbonato di sodio e foglie di alloro.

– menta e bicarbonato.

– pasticche di mirto, lentisco, finocchio, liquirizia.

– foglie di malobathrum (pianta simile alla cannella) ed anice.

– mirra, menta e cannella.

Depilazione

– olio d’oliva, pece e soda.

– pece greca sciolta in olio con resine e soda.

– noci bollenti sulla pelle (lo usava in particolare Cesare)

CURIOSITÀ: erano famosi i bagni nel latte d’asina di Poppea, utili per rassodare e ammorbidire la pelle.

Nel Medioevo invece troviamo un periodo buio, ci si truccava solo in occasioni speciali. Questo era dovuto al fatto che la Chiesa condannava queste pratiche e le considerava futili, o addirittura pericolose per l’integrità spirituale. Le donne dovevano avere un aspetto naturale con una pelle bianchissima a dare il senso di purezza e candore. L’unica cosa che si concedevano era un velo di rosso sulle gote e sulle labbra, usando polveri di minio (minerale di colore rosso) e zafferano. Per mantenere i denti bianchissimi facevano uso della salvia. I rapporti con le popolazioni germaniche diffusero la moda dei capelli dorati e per schiarirli usavano una mistura di tuorlo d’uovo, zafferano, fiori di ginestra e corteccia di sambuco. Inoltre per aver una pelle diafana, considerata all’epoca simbolo di nobiltà, venivano utilizzate paste simili ai nostri fondotinta, composti da ossidi di mercurio o argento misti a grassi vegetali o animali, oppure la ‘cerussa’ (o biacca di piombo).

Con l’avvento del Rinascimento, non ci fu solo la rinascita delle arti, ma ritornò anche il gusto per il classico e per la bellezza, intesa come perfezione ed armonia, tramite la ricerca di un incarnato perfetto e dell’esaltazione delle forme. Anche qui troviamo altre ricette a base di erbe realizzate allo scopo di esaltare la bellezza:

– per schiarire i capelli, venivano lavati con acqua di cinapro, zolfo e zafferano bollito;

– per ammorbidire la pelle del viso ruvida e arrossata, si faceva una miscela con biacca di piombo e olio di viola.

CURIOSITÀ: a quell’epoca la sporcizia era dilagante sia tra le classi più povere che in quelle più elevate. Si temeva di prendere il colera dall’acqua contaminata per cui veniva sostituita con l’uso/abuso di profumi a base di violetta, lavanda e fiori d’arancio.

Nell’epoca Vittoriana, tra il 1700 e il 1800, vigeva sempre la moda di un volto diafano, un look pallidissimo dalla pelle di porcellana. Forse per evitare di far uso della biacca come belletto bianco, perché ritenuto tossico, venne introdotto un accessorio molto utilizzato dalle dame, un oggettino lezioso e impreziosito da ricami, l’ombrellino parasole, come anche la veletta. Inoltre l’uso eccessivo di trucchi non era visto di buon occhio dalle classi più elevate, era appannaggio esclusivo di attrici e prostitute. Insomma, la perfetta dama vittoriana era naturalmente pallida, dimessa, delicata, e utilizzava il trucco senza esagerare.

Nei primi decenni del ‘900 cominciarono a nascere le prime case cosmetiche e cambiarono completamente i canoni estetici. Non più donne dimesse e dal colorito pallido.

Si comincia a fare uso di fondotinta, ciprie, rossetti, ombretti, tutti prodotti prevalentemente per sintesi di sostanze chimiche. Vengono messi da parte i prodotti naturali che vennero sostituiti da quelli derivati dal petrolio perché più economici, quindi più commerciabili.

Per avere prodotti di formulazione Bio, con sostanze naturali e vegetali bisogna aspettare gli anni ’60, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui è addirittura possibile personalizzare le creme in base alla propria pelle. In pratica prodotti a impatto zero per l’ambiente ma soprattutto che non facciano male alla pelle.

Tra le sostanze più utilizzate nella fitocosmesi di oggi, troviamo:

– germe di grano, olio di ciliegio, olio di soia, olio d’oliva, olio di mandorle, acque distillate aromatiche (acqua di rose, di fiori d’arancio), unguenti a base di burro (unguento per il corpo a base di cacao e carota, burro di karitè per massaggi al viso) e cere vegetali (cera carnauba, cera jojoba), ribes nero, etc…

IL RITO DI SAN GIOVANNI

La notte di San Giovanni, secondo un’antica leggenda, era considerata in grado di portare fortuna e prosperità. Tra i riti propiziatori e purificatori di questa notte considerata “magica” un ruolo di primo piano era svolto dalla celebre acqua di San Giovanni, la cui preparazione iniziava al momento del tramonto del 23 giugno. Per tradizione, le erbe e i fiori dovevano essere raccolti da mani di donna, possibilmente a digiuno e in numero dispari. Solitamente si raccoglievano un numero di 7 qualità diverse di fiori ed erbe aromatiche, come ad esempio artemisia, lavanda, malva, rosmarino, fiori di iperico, menta e salvia, come pure camomilla, papaveri, fiordalisi e, a volte anche rose, ovviamente scelti in base alle fioriture del territorio. L’iperico, invece, non poteva mancare, una pianta a base di un olio essenziale e derivati fenolici, tra cui un pigmento di colorazione rossa chiamato ipericina. Da esso deriva il nome di erba di San Giovanni, in quanto il colore rosso ricorda il sangue versato dal santo quando fu fatto decapitare da Salomé. L’iperico, quindi, è indispensabile nella preparazione dell’acqua di San Giovanni poiché si pensa abbia la capacità di scacciare gli spiriti malvagi.

LA PREPARAZIONE: i rametti e i fiori raccolti venivano immersi in un recipiente con dell’acqua, da porre all’esterno dell’abitazione per tutta la notte in modo da poter assorbire la rugiada del mattino, che, secondo la tradizione, riusciva a dare all’acqua poteri purificatori e curativi proteggendo da malattie, sfortuna ed invidia. La mattina dopo, il giorno di San Giovanni, l’acqua veniva utilizzata per lavare viso e mani, oppure per fare il bagnetto ai neonati o per rigenerare la pelle. Inoltre se fosse avanzata dell’acqua questa non si conservava ma doveva essere regalata.

Questo rituale ha origini molto antiche e si usava prepararla in diverse regioni italiane da nord a sud.

Nel video è possibile visualizzare le piante e le erbe aromatiche più utilizzate:

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Elogio dell’imperfezione