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Cosa sono gli additivi alimentari?

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Gli additivi vengono utilizzati nei prodotti alimentari con lo scopo ben preciso di migliorarne alcune caratteristiche, ad esempio, il colore, la consistenza, il sapore o il periodo di conservazione. Purtroppo non possiedono alcun valore nutrizionale. C’è da dire, peraltro, che ci sono anche additivi di particolare utilità, come i nitriti che hanno la funzione di conservanti, ovvero agiscono contro i batteri che, sviluppandosi all’interno del prodotto, possono produrre tossine mortali.

Se alcuni additivi sono accettabili se utilizzati con moderazione, al contrario l’utilizzo dei coloranti e degli esaltatori di sapidità è sconsigliabile in quanto non sono indispensabili e, spesso mascherano l’utilizzo di materie prime di qualità inferiore o prive di sapore. Gli unici a trarne dei vantaggi sono proprio i produttori, infatti oltre a prolungare la durata del prodotto, grazie ai conservanti, ne possono accentuare le proprietà organolettiche, grazie all’uso dei coloranti che li rendono più appetibili.

La loro presenza viene segnalata tra la lista degli ingredienti, di solito alla fine dell’elenco, ed è contraddistinto da un numero di tre o quattro cifre preceduto dalla lettera E e la funzione principale di alcuni additivi può essere identificata grazie alla prima cifra del suo codice, ad esempio, E1…indica i coloranti, E2…i conservanti, E3…gli antiossidanti.

Nonostante queste regole però bisogna prestare attenzione al fatto che esistono additivi preceduti da E2 ed E3 che non sono conservanti o antiossidanti e che svolgono diverse funzioni e li possiamo ritrovare in diverse categorie. Difatti in etichetta oltre al codice, a volte, si può trovare anche il loro nome specifico.

Bisogna, inoltre, stare attenti perché non tutti gli alimenti hanno l’obbligo di riportare la lista degli ingredienti. Per esempio gli alimenti non confezionati come il pane o i prodotti di pasticceria, come anche alcuni preincartati, come la frutta, gli ortaggi freschi; alcuni tipi di aceto, le acque gassate, le bevande con basso contenuto alcoolico, ma anche il latte, la panna ed i formaggi.

Tuttavia, per garantire un certo margine di sicurezza, il loro utilizzo è regolamentato dall’Unione Europea che, come prima condizione, tra le altre, pone il fatto che il loro impiego non debba rappresentare un pericolo per la salute della persona che lo assume. Difatti bisogna tener conto della dose giornaliera ammissibile, che viene espressa in mg/kg di peso corporeo, che un individuo normale può assumere giornalmente, per tutta la vita, senza correre rischi sensibili per la sua salute. Per essere certi di non superarla è necessario sapere quali sono le quantità di additivi contenuti negli alimenti ed il loro consumo quotidiano. Compito davvero difficile!

Ma la domanda che tutti ci poniamo è “ci sono rischi per la nostra salute?”

In effetti non ci sono dati scientifici ma nello stesso tempo non è nemmeno possibile garantire l’innocuità di un additivo. Sono stati effettuati studi tossicologici che permettono di concludere che i pericoli sull’uomo, in base alle condizioni di impiego sono molto ridotti. L’unica cosa che si può valutare è che ci possono essere delle persone a rischio, ovvero chi assume dei farmaci che possono avere reattività incrociata con alcuni additivi; i bambini in età infantile, in quanto non hanno ancora sufficientemente sviluppati gli enzimi digestivi; donne in gravidanza; persone anziane e malati il cui sistema immunitario è deficitario. Poi devono stare molto attente le persone con allergie ed intolleranze, anche se l’intolleranza agli additivi è una pseudoallergia, in quanto chi ne soffre ne tollera l’agente scatenante fino ad una certa dose, che varia da individuo ad individuo.

Per ovviare a tutti questi problemi si consiglia di non eccedere nel consumo di prodotti contenenti additivi e preferire, per quanto possibile, prodotti semplici, freschi e di stagione. Come diceva Paracelso nel XVI secolo “È la dose che fa il veleno”

 

La vera storia della Befana

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Secondo Shakespeare “Fragilità, il tuo nome è donna”
…invece io penso che una delle nostre spiccate prerogative sia la “Curiosità”, almeno io personalmente sono sempre stata avida di sapere, di scoprire cose nuove. Grazie alla mia curiosità mi sono imbattuta in questa simpatica storiella…
…oltretutto si dice che la curiosità aiuti a mantenere il cervello attivo!

LA VERA STORIA DELLA BEFANA

Tantissimi anni fa, un convoglio, lemme lemme guidato da Tre Re a dorso di un cammello si mise in cammin verso Betlemme per rendere omaggio a un Bambinello…

Gaspare, Melchiorre e Baldassarre…tre sovrani partiti da lontano; si chiamavano “Magi” questi Re, portavano dei doni nella mano…eran partiti la Notte di Natale portando mirra, incenso ed oro ad un Fanciullo “molto speciale”.

Ad un tratto uno di loro mentre seguiva la scia di una stella che indicava la strada del cammino vide una casetta piccolina e bella, e disse: “Guardate quel fumo dal camino…chiediamo se giusta è questa via per arrivare a quella Grotta Santa…perché alcun dubbio infine non ci sia se ancor di strada ne dobbiamo far tanta!”

Allora il secondo dei tre Re bussò alla porta di quella casetta: la porta si aprì e davanti a sé vide comparire una vecchietta.

“Può indicarci la strada per Betlemme? Siamo in cammino da ore, ore ed ore…le doneremo in cambio queste gemme se ci accompagna dove è nato il Salvatore!”

“Mi dispiace” rispose la vecchietta “proprio no!!! non posso!!! mi dispiace!!! vedete cosa ho in mano una scopetta??? devo pulir la mia casetta…in santa pace!”

…E così sbatté la porta! Allora i tre Re delusi, si rimisero in cammino…dovevano comunque farcela da sé per trovare quella Grotta col Bambino!

Ma la storia…no, non finisce qui…perché dopo circa mezz’oretta, aver risposto male così a dei Re, costò alla vecchietta una tal vergogna e un così grande rimorso che si precipitò a cercarli in gran fretta; bevve di una pozione magica un gran sorso e volò su nel ciel con la scopetta.

Per ore ed ore li cercò…invano…fermando per strada ogni bambino dandogli una lieve carezza con la mano e con l’altra…lanciandogli un dolcino.

Perché lei, la simpatica vecchietta, ogni bimbo che incontrava, col suo cuore, (mentre volava “a dorso di scopetta”) sperava fosse il Pargol Salvatore!!!

E da allora, la sera dell’Epifania, quella vecchietta la vedi volar via passare in ogni casa, dal camino alla ricerca di quel Pargolo Divino;

Lo troverà mai? Di certo non si sa…ma a tutti i bimbi buoni un dolcetto lascerà dentro una rossa e lunga calza di lana.

…questa è la vera storia della Befana!!!

 

Tratto da “Il giocoliere di parole”

Cuscinetti lucani

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  Tra i dolci tipici natalizi della tradizione lucana troviamo questi dolcetti ripieni, la cui forma classica è quella della mezzaluna, anche se poi ognuno può dar libero sfogo alla sua fantasia e darle la forma che preferisce. L’involucro è una specie di pasta frolla il cui interno viene farcito con una crema di ceci, ma in alternativa si possono usare anche castagne oppure marmellata.

INGREDIENTI:

  • 1/2 kg di farina
  • 100 g di zucchero
  • 3 uova
  • 100 g di sugna (oppure burro)
  • 250 g di vino bianco
  • un pizzico di sale

RIPIENO:

  • 1/2 kg di ceci
  • 50 g di caco amaro
  • 100 g di zucchero (oppure miele)
  • la buccia grattugiata di un’arancia
  • liquore aromatico dolce
  • caffè

PROCEDIMENTO:

Mettere la farina sopra una spianatoia, creare una fontana e mettere all’interno tutti gli ingredienti. Impastare aggiungendo poco per volta il vino fino a formare un panetto non molto duro. Coprire l’impasto ottenuto e lasciar riposare un paio d’ore.

Nel frattempo preparare l’impasto. Se si usano i ceci secchi metterli a bagno per 12 ore prima di cuocerli, dopo averli lessati frullateli con il mixer e aggiungete tutti gli ingredienti fino a formare una crema ben compatta.

Stendere la pasta in una sfoglia molto sottile, utilizzando il mattarello o più semplicemente facendo uso della macchina per la pasta. Tagliate dei dischi di circa 10 cm di diametro, oppure creare un forma a vostro piacimento, e al centro con un cucchiaino disponete la crema. Chiudere bene i bordi, aiutandovi con un forchetta.

Finito di assemblare i dolcetti, nella maniera classica, andrebbero fritti in olio abbondante, in ogni caso si possono cuocere anche al forno. I tempi di cottura, ovviamente, variano in base al forno che si sta utilizzando. Sfornarli appena sono ben dorati. Lasciateli raffreddare e poi spolverizzateli con lo zucchero a velo.

 

La leggenda dell’albero di Natale

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Lo sapevate che le origini dell’albero di Natale sono pagane? Che intorno ad esso ci sono una infinità di leggende? La più toccante è quella del bambino che si perse nel bosco.

Tutto ebbe luogo moltissimi anni fa, il giorno della Vigilia di Natale. Quell’anno aveva nevicato moltissimo e l’unico modo per scaldare la casa era utilizzare della legna da ardere nel camino.

La leggenda dell’albero di Natale racconta la storia di un bambino, figlio di contadini, che viveva in un villaggio di campagna vicino una grande foresta. Subito dopo aver pranzato, il bambino decise di uscire per recarsi nel bosco: voleva cercare un ceppo di quercia da ardere nel camino la notte della Vigilia di Natale per rispettare una delle antiche tradizioni del suo villaggio.

Purtroppo, come ben sapete, le giornate in inverno sono più corte e le ore di luce durano davvero poco. Nonostante il bambino conoscesse quel bosco come le sue tasche, sopraggiunta la notte si perse.

Al ragazzino non restò altro da fare che cercare un riparo per trascorrere la notte così come gli avevano sempre detto i suoi genitori. Camminando lentamente tra gli alberi spogli illuminati dalla fioca luce della luna, cercò di trovare un posto adatto a lui ma non era affatto facile: non c’erano grotte, né capanne lì intorno; soltanto alberi.

Man mano che camminava, fiocchi di candida e gelida neve iniziarono a cadere giù dal cielo rendendo la sua ricerca ancora più difficile. Calde lacrime iniziarono a bagnarli il viso al pensiero di tutto ciò che si stava perdendo: la cena, i regali, l’affetto dei suoi genitori…

Stanco e affamato, s’imbatté in un bellissimo abete: uno dei pochi alberi rimasti verdi nonostante l’inverno. Asciugandosi le lacrime, vi si diresse cercando rifugio vicino al suo profumato tronco. Cullato dai rumori del bosco e stretto nel suo cappotto, si accucciò ai suoi piedi e si addormentò.

L’abete, che silenziosamente aveva assistito a tutta la scena, intenerito da quel piccolo esserino che si era rifugiato proprio sotto la sua chioma, decise di abbassare i suoi rami facendoli toccare quasi a terra in modo da stringerlo a sé e proteggerlo dalla neve.

Il giorno di Natale, il bambino fu svegliato dal vociare degli abitanti del villaggio giunti nel bosco per cercarlo. Gli corse incontro e li portò nel posto in cui aveva trascorso la notte: i rami dell’abete erano ancora rivolti a terra e gli abitanti del villaggio capirono presto cosa era successo. Per ringraziare l’abete di quel gesto di generosità decisero di decorarlo con ciò che avevano: sciarpe, cappelli, e guanti…che divennero con il corso del tempo festoni e palline natalizie.

Da quel giorno, secondo la leggenda dell’albero di natale, l’abete venne considerato uno dei simboli del Natale e per questo addobbato.

Oggi è tradizione utilizzare degli abeti finti come alberi di Natale: non profumano come quelli veri ma è comunque un bel modo di onorare e rispettare questi antichi spiriti dei boschi.

fonte Web

Storia del Panettone

 

 

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L’origine del panettone è lombarda, anzi milanese. Sembra che esistesse già nel ‘200, come un primo pane arricchito di lievito, miele, uva secca e zucca. Nel ‘600 aveva la forma di una rozza focaccia, fatta di farina di grano e chicchi d’uva. Nell’800 il panettone era una specie di pane di farina di grano arricchito con uova, zucchero, uva passa (la presenza di quest’ultimo ingrediente aveva una funzione propiziatoria, quale presagio di ricchezza e denaro).

Ci sono varie leggende legate all’alchimia del panettone.

Una prima leggenda ambientata a fine ‘400, narra di Ughetto figlio del condottiero Giacometto degli Atellani, che si innamorò della bella e giovane Adalgisa. Per star vicino alla sua amata egli s’improvvisò pasticcere come il padre di lei, tal Toni. Ma date le umili condizioni della giovane, gli Atellani osteggiarono le nozze. Poiché gli affari del fornaio non andavano molto bene, Ughetto, per risollevare la situazione, si fece assumere come garzone dal fornaio e pensò di migliorare il pane aggiungendo burro e zucchero. Fu un successo. Non solo: durante una seconda preparazione aggiunse anche pezzetti di cedro canditi e uova, la nuova ricetta riscosse ancora più successo, tanto che tutto il borgo faceva la coda alla porta del fornaio per avere quel dolce. Erano i tempi di Ludovico il Moro, e la moglie duchessa Beatrice vista questa grande passione del giovane, aiutata dei padri Domenicani e da Leonardo da Vinci, si impegnò a convincere Giacometto degli Atellani a far sposare il figlio con la popolana. Fu così che i due giovani, come accade nelle favole, si sposarono e vissero felici e contenti. Il dolce frutto di tale amore divenne un successo senza precedenti, e la gente venne da ogni contrada per comprare e gustare il “Pan del Ton”.

Narra, una seconda leggenda, che per la vigilia di Natale, alla corte del Duca Ludovico, era stata predisposta la preparazione di un dolce particolare. Purtroppo durante la cottura questo pane a cupola contenente acini d’uva si bruciò, gettando il cuoco nella disperazione. Fra imprecazioni e urla, si levò la voce di uno sguattero, che si chiamava Toni, il quale consigliò di servire lo stesso il dolce, giustificandolo come una specialità con la crosta. Quando la ricetta inconsueta venne presentata agli invitati fu accolta da fragorosi applausi, e dopo l’assaggio un coro di lodi si levò da tutta la tavolata: era nato il “pan del Toni”.
Uno degli artefici del panettone moderno è stato Paolo Biffi, che curò un enorme dolce per Pio IX al quale lo spedì con una carrozza speciale nel 1847. Golosi del pant del ton sono stati molti personaggi storici: dal Manzoni al principe austriaco Metternich, quest’ultimo parlando delle “cinque giornate”  disse dei milanesi: “Sono buoni come i panettoni”.
Nascita, sviluppo della forma e della confezione attuale del panettone sono databili alla prima metà del ‘900, quando Angelo Motta propose il cupolone e il “pirottino” di carta da forno, quasi a celebrare la crescita e l’importanza del preparato.

fonte Web

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