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Cuscinetti lucani

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  Tra i dolci tipici natalizi della tradizione lucana troviamo questi dolcetti ripieni, la cui forma classica è quella della mezzaluna, anche se poi ognuno può dar libero sfogo alla sua fantasia e darle la forma che preferisce. L’involucro è una specie di pasta frolla il cui interno viene farcito con una crema di ceci, ma in alternativa si possono usare anche castagne oppure marmellata.

INGREDIENTI:

  • 1/2 kg di farina
  • 100 g di zucchero
  • 3 uova
  • 100 g di sugna (oppure burro)
  • 250 g di vino bianco
  • un pizzico di sale

RIPIENO:

  • 1/2 kg di ceci
  • 50 g di caco amaro
  • 100 g di zucchero (oppure miele)
  • la buccia grattugiata di un’arancia
  • liquore aromatico dolce
  • caffè

PROCEDIMENTO:

Mettere la farina sopra una spianatoia, creare una fontana e mettere all’interno tutti gli ingredienti. Impastare aggiungendo poco per volta il vino fino a formare un panetto non molto duro. Coprire l’impasto ottenuto e lasciar riposare un paio d’ore.

Nel frattempo preparare l’impasto. Se si usano i ceci secchi metterli a bagno per 12 ore prima di cuocerli, dopo averli lessati frullateli con il mixer e aggiungete tutti gli ingredienti fino a formare una crema ben compatta.

Stendere la pasta in una sfoglia molto sottile, utilizzando il mattarello o più semplicemente facendo uso della macchina per la pasta. Tagliate dei dischi di circa 10 cm di diametro, oppure creare un forma a vostro piacimento, e al centro con un cucchiaino disponete la crema. Chiudere bene i bordi, aiutandovi con un forchetta.

Finito di assemblare i dolcetti, nella maniera classica, andrebbero fritti in olio abbondante, in ogni caso si possono cuocere anche al forno. I tempi di cottura, ovviamente, variano in base al forno che si sta utilizzando. Sfornarli appena sono ben dorati. Lasciateli raffreddare e poi spolverizzateli con lo zucchero a velo.

 

La leggenda dell’albero di Natale

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Lo sapevate che le origini dell’albero di Natale sono pagane? Che intorno ad esso ci sono una infinità di leggende? La più toccante è quella del bambino che si perse nel bosco.

Tutto ebbe luogo moltissimi anni fa, il giorno della Vigilia di Natale. Quell’anno aveva nevicato moltissimo e l’unico modo per scaldare la casa era utilizzare della legna da ardere nel camino.

La leggenda dell’albero di Natale racconta la storia di un bambino, figlio di contadini, che viveva in un villaggio di campagna vicino una grande foresta. Subito dopo aver pranzato, il bambino decise di uscire per recarsi nel bosco: voleva cercare un ceppo di quercia da ardere nel camino la notte della Vigilia di Natale per rispettare una delle antiche tradizioni del suo villaggio.

Purtroppo, come ben sapete, le giornate in inverno sono più corte e le ore di luce durano davvero poco. Nonostante il bambino conoscesse quel bosco come le sue tasche, sopraggiunta la notte si perse.

Al ragazzino non restò altro da fare che cercare un riparo per trascorrere la notte così come gli avevano sempre detto i suoi genitori. Camminando lentamente tra gli alberi spogli illuminati dalla fioca luce della luna, cercò di trovare un posto adatto a lui ma non era affatto facile: non c’erano grotte, né capanne lì intorno; soltanto alberi.

Man mano che camminava, fiocchi di candida e gelida neve iniziarono a cadere giù dal cielo rendendo la sua ricerca ancora più difficile. Calde lacrime iniziarono a bagnarli il viso al pensiero di tutto ciò che si stava perdendo: la cena, i regali, l’affetto dei suoi genitori…

Stanco e affamato, s’imbatté in un bellissimo abete: uno dei pochi alberi rimasti verdi nonostante l’inverno. Asciugandosi le lacrime, vi si diresse cercando rifugio vicino al suo profumato tronco. Cullato dai rumori del bosco e stretto nel suo cappotto, si accucciò ai suoi piedi e si addormentò.

L’abete, che silenziosamente aveva assistito a tutta la scena, intenerito da quel piccolo esserino che si era rifugiato proprio sotto la sua chioma, decise di abbassare i suoi rami facendoli toccare quasi a terra in modo da stringerlo a sé e proteggerlo dalla neve.

Il giorno di Natale, il bambino fu svegliato dal vociare degli abitanti del villaggio giunti nel bosco per cercarlo. Gli corse incontro e li portò nel posto in cui aveva trascorso la notte: i rami dell’abete erano ancora rivolti a terra e gli abitanti del villaggio capirono presto cosa era successo. Per ringraziare l’abete di quel gesto di generosità decisero di decorarlo con ciò che avevano: sciarpe, cappelli, e guanti…che divennero con il corso del tempo festoni e palline natalizie.

Da quel giorno, secondo la leggenda dell’albero di natale, l’abete venne considerato uno dei simboli del Natale e per questo addobbato.

Oggi è tradizione utilizzare degli abeti finti come alberi di Natale: non profumano come quelli veri ma è comunque un bel modo di onorare e rispettare questi antichi spiriti dei boschi.

fonte Web

Storia del Panettone

 

 

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L’origine del panettone è lombarda, anzi milanese. Sembra che esistesse già nel ‘200, come un primo pane arricchito di lievito, miele, uva secca e zucca. Nel ‘600 aveva la forma di una rozza focaccia, fatta di farina di grano e chicchi d’uva. Nell’800 il panettone era una specie di pane di farina di grano arricchito con uova, zucchero, uva passa (la presenza di quest’ultimo ingrediente aveva una funzione propiziatoria, quale presagio di ricchezza e denaro).

Ci sono varie leggende legate all’alchimia del panettone.

Una prima leggenda ambientata a fine ‘400, narra di Ughetto figlio del condottiero Giacometto degli Atellani, che si innamorò della bella e giovane Adalgisa. Per star vicino alla sua amata egli s’improvvisò pasticcere come il padre di lei, tal Toni. Ma date le umili condizioni della giovane, gli Atellani osteggiarono le nozze. Poiché gli affari del fornaio non andavano molto bene, Ughetto, per risollevare la situazione, si fece assumere come garzone dal fornaio e pensò di migliorare il pane aggiungendo burro e zucchero. Fu un successo. Non solo: durante una seconda preparazione aggiunse anche pezzetti di cedro canditi e uova, la nuova ricetta riscosse ancora più successo, tanto che tutto il borgo faceva la coda alla porta del fornaio per avere quel dolce. Erano i tempi di Ludovico il Moro, e la moglie duchessa Beatrice vista questa grande passione del giovane, aiutata dei padri Domenicani e da Leonardo da Vinci, si impegnò a convincere Giacometto degli Atellani a far sposare il figlio con la popolana. Fu così che i due giovani, come accade nelle favole, si sposarono e vissero felici e contenti. Il dolce frutto di tale amore divenne un successo senza precedenti, e la gente venne da ogni contrada per comprare e gustare il “Pan del Ton”.

Narra, una seconda leggenda, che per la vigilia di Natale, alla corte del Duca Ludovico, era stata predisposta la preparazione di un dolce particolare. Purtroppo durante la cottura questo pane a cupola contenente acini d’uva si bruciò, gettando il cuoco nella disperazione. Fra imprecazioni e urla, si levò la voce di uno sguattero, che si chiamava Toni, il quale consigliò di servire lo stesso il dolce, giustificandolo come una specialità con la crosta. Quando la ricetta inconsueta venne presentata agli invitati fu accolta da fragorosi applausi, e dopo l’assaggio un coro di lodi si levò da tutta la tavolata: era nato il “pan del Toni”.
Uno degli artefici del panettone moderno è stato Paolo Biffi, che curò un enorme dolce per Pio IX al quale lo spedì con una carrozza speciale nel 1847. Golosi del pant del ton sono stati molti personaggi storici: dal Manzoni al principe austriaco Metternich, quest’ultimo parlando delle “cinque giornate”  disse dei milanesi: “Sono buoni come i panettoni”.
Nascita, sviluppo della forma e della confezione attuale del panettone sono databili alla prima metà del ‘900, quando Angelo Motta propose il cupolone e il “pirottino” di carta da forno, quasi a celebrare la crescita e l’importanza del preparato.

fonte Web

Anelli siciliani al forno

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Un piatto tipico della cucina siciliana, chi ha visitato la Sicilia sicuramente avrà assaggiato questo piatto. Si possono trovare delle varianti da provincia a provincia, chi aggiunge le melanzane, chi l’uovo sodo, altri il prosciutto a tocchetti. Ma vi assicuro che se vi capiterà di assaggiarlo non riuscirete a farne a meno di chiedere un’altra porzione.

Originariamente ispirati ai grandi orecchini a cerchio indossati dalle donne africane, gli Anelli Siciliani sono un formato tipico della provincia di Palermo. La loro forma particolare permette di catturare al meglio ogni tipo di condimento.

La mia versione è molto semplice e veloce

INGREDIENTI: (dose per 4 persone)

  • 300 g di anelli
  • 300 g di carne macinata
  • 200 g di piselli
  • 4 mozzarelle
  • 1 melanzana grande
  • passata di pomodoro
  • formaggio grattugiato

PROCEDIMENTO

Lessare la pasta rispettando i tempi di cottura scritti sul pacco e tenendo conto che poi continua a cuocere nel forno.

Nel frattempo preparare il condimento: saltare in una padella, con due cucchiai d’olio evo, la carne macinata. Poi aggiungere i piselli e la passata di pomodoro. Salare a proprio piacimento e coprire fino a completa cottura. Friggere la melanzana a tocchetti o in alternativa tagliarla a fette e dopo averla tenuta un paio d’ore sotto sale si può fare anche arrostita o su di una griglia o nel forno, disponendole sulla placca del forno coperta con carta da forno unta di olio.

Una volta cotta la pasta, scolare e mescolare con il condimento così ottenuto. Se il sugo sembra troppo asciutto diluire con del latte. Aggiungere tutto insieme anche le melanzane a tocchetti e le mozzarelle sminuzzate. Se le melanzane sono tagliate a fette conviene farle a pezzetti. Una volta mescolato tutto insieme disporre in una teglia precedentemente oleata e coprire con una spolverata di formaggio grattugiato. Mettere in forno ventilato a 180° per una mezz’ora, chiaramente il tempo di cottura dipende molto dal proprio forno.

È cotta quando è completamente asciutta ed ha fatto una leggera crosticina in superficie.

 

Come ridurre i consumi degli elettrodomestici

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Nelle nostre case si consuma moltissimo, non solo per il riscaldamento, ma anche per l’energia elettrica. Eppure non sempre siamo a conoscenza di quanto possano influire, sui nostri costi, le abitudini quotidiane dei nostri apparati elettrici. In effetti sono pochi gli apparecchi che, se non usati correttamente, possono far lievitare la bolletta. Quelli più imputati e di uso quasi frequenti sono lo scaldabagno e il ferro per stirare. In compenso però si possono utilizzare le lampadine a risparmio energetico che hanno un consumo 5 volte inferiore e durano 8 volte di più delle vecchie lampadine ad incandescenza.

Optare per un consumo intelligente significa innanzitutto scoprire come ridurre i consumi degli apparecchi più dispendiosi: sapere di più aiuta a risparmiare senza rinunciare al benessere né ai vantaggi offerti dall’utilizzo degli elettrodomestici. Moltissimo si può fare proprio a partire dalla scelta e da un uso corretto.

Quando acquistiamo un elettrodomestico, una delle cose a cui bisogna fare attenzione è l’etichetta energetica. Si tratta di uno strumento fondamentale, che ci permette di valutare i consumi e l’efficienza dell’apparecchio. Appare come una serie di frecce di lunghezza crescente, ognuna di colore diverso, a ciascuna è associata una lettera dell’alfabeto: la lunghezza delle frecce indica il variare dei consumi, perciò più la freccia è lunga, più l’apparecchio consuma.

Fino a qualche tempo fa, la classe migliore era la A. Da un po’ di tempo è in uso una nuova classificazione che premia gli apparecchi più virtuosi attraverso l’attribuzione di classi superiore alla A: A+, A++, A+++. Non si tratta di inutili sottigliezze: la differenza tra due elettrodomestici di classi differenti non è minima. Nel caso di un frigo, passando dalla classe A alla A+ si può risparmiare il 30% dei consumi (circa 90 kWh, pari a 16€ l’anno); mentre una lavastoviglie A+++ permette un risparmio addirittura del 50%. Classificazione che diventa importante nel caso di elettrodomestici molto “energivori”, come i condizionatori, i forni elettrici e le asciugabiancheria.

Quando acquistiamo un prodotto l’etichetta deve essere posizionata ben in vista davanti o sopra l’elettrodomestico esposto. Insieme al materiale informativo (o al catalogo) deve essere allegata una scheda particolareggiata. Ogni apparecchio deve essere dotato anche di una documentazione completa che, oltre alle notizie già descritte dall’etichetta, dia avvertenze dettagliate sugli aspetti tecnici nel loro complesso.

Poi non deve mancare la garanzia europea, con le relative spiegazioni, dove deve essere indicata la rete dei concessionari autorizzati dalla casa madre oppure dei centri autorizzati a fornire assistenza. Tale garanzia dura 2 anni dal momento dell’acquisto di qualsiasi prodotto ed in caso di malfunzionamento il consumatore ha diritto alla scelta fra le seguenti alternative:

  • riparazione gratuita del prodotto difettoso
  • cambio dell’oggetto difettoso
  • riduzione del prezzo pagato
  • risoluzione del contratto e restituzione dell’oggetto

La durata biennale della garanzia però è riconosciuta solo ai privati; se il prodotto acquistato viene fatturato ad un’azienda, la garanzia è valida solamente per la durata di 1 anno.

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