UTILITÀ

FITOCOSMESI IERI E OGGI

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L’uso delle piante officinali si può definire un’arte molto antica. Vengono chiamate “officinali” tutte quelle erbe impiegate nelle “officine” degli speziali, ovvero quegli esperti nelle tecniche di lavorazione, nelle procedure di preparazione e di conservazione di quelle piante che poi saranno utilizzate per realizzare rimedi medicamentosi, pomate, unguenti oltre che cosmetici naturali e pregiate essenze profumate. Con la fitoterapia ci prendiamo cura della nostra parte interiore mentre con la fitocosmesi, quella che tratteremo, sfruttiamo le proprietà della natura per la cura e la bellezza del nostro corpo.

La nascita del trucco ha origini antichissime e prende il via sin dal 4000 a.C. nell’antico Egitto. Nella società egiziana era molto sentita l’esigenza di mantenere uno standard ottimale di salute e bellezza, tant’è che venne considerata la patria del culto della bellezza. A quel tempo il trucco aveva per lo più una funzione religiosa e rituale. Infatti, si riteneva che la bellezza fosse gradita agli dei e per questo motivo potesse proteggere dal male. La cura e l’abbellimento del proprio corpo, sia per gli uomini che per le donne, veniva intesa come esaltazione della bellezza. La cosmesi era praticata da esperti conoscitori di materie prime che, venivano scelte, in modo appropriato alla funzione. Ad esempio, dopo il bagno si usavano preparati a base di oli vegetali mischiati a erbe aromatiche per ammorbidire la pelle, come olio di oliva, mandorle, sesamo, lavanda, incenso, mirra, timo e origano. Inoltre, venivano usati, anche, da sacerdoti e sacerdotesse per colorarsi e profumarsi il corpo in specifici rituali, oltre ad essere ingredienti fondamentali nel processo della mummificazione (le erbe fortemente aromatiche, insieme a oli cosmetici, resine, bacche di ginepro e cera di api, che si rassodavano in una massa nero-brunastra quasi vitrea a forte componente liquida, erano in grado di conservare il corpo, oltre che profumarlo). Questi preparati già all’epoca erano molto costosi, pertanto il trucco era segno visibile di una condizione economico-sociale privilegiata.

Anche nella Grecia Classica ci tenevano molto alla bellezza e ai canoni estetici, tanto che esistevano delle multe per le donne che osavano presentarsi in pubblico con un aspetto trascurato. I prodotti per la cura del corpo, anche a quel tempo, giocavano un ruolo fondamentale. L’olio di mastice insieme alle erbe aromatiche si usava, ad esempio, per evitare l’alitosi. I capelli venivano colorati con una soluzione composta da zafferano e acqua di potassio e frizionati con unguenti a base di vegetali per rinforzarli e proteggerli dal sole. Oli essenziali di rosa, gelsomino e nardo erano usati quotidianamente da uomini e donne per ungere corpo e capelli dopo il bagno. Il trucco era semplice e raffinato: incarnato luminoso, labbra in evidenza grazie all’estratto di oricello e ciglia scure. Una speciale attenzione era riservata ai profumi, che venivano opportunamente scelti a seconda della parte del corpo a cui erano destinati: la menta e l’olio di palma erano rispettivamente applicati su braccia e gambe, il timo alle ginocchia e al collo, la maggiorana alle sopracciglia. Molti dei prodotti usati per la cosmesi nel mondo greco erano importati dall’Egitto, considerato ancora sul finire del I millennio a.C. la vera patria del culto della bellezza.

In seguito alla conquista della Grecia, anche le donne aristocratiche dell’antica Roma, acquisirono la pratica di occupare la maggior parte della loro giornata alla cura del corpo. Il massimo tratto di bellezza per una donna romana era poter sfoggiare una pelle luminosa, rosea e priva di imperfezioni. Non a caso, i Romani si possono a tutti gli effetti considerare i veri inventori delle maschere per il viso, da applicare al mattino o prima di andare a dormire. Esistevano maschere diverse a seconda dell’uso: contro le rughe si applicavano impacchi di riso e farina di fave o il latte d’asina; contro le macchie esistevano maschere a base di finocchio, mirra, incenso, petali di rosa, succo d’orzo. Per sbiancare la pelle si usavano anche cera d’api, acqua di rose, olio di mandorle, zafferano, cetriolo, aneto, funghi, papavero, radice di giglio e uovo, fanghi di creta e farina di fave per l’esfoliazione della pelle.

ALCUNE RICETTE

Crema emolliente e dopobagno

– la crema più semplice era ungere la pelle con olio di labdano (resina che trasudava dalla pianta del cisto), o di dattero, di mandorle, sesamo, ricino, oliva, palma, grano.

– massaggiarsi il corpo con olio di cedro del Libano, che rende la pelle elastica, olio di oliva, lavanda, rosmarino.

– olio di sesamo, olio di mandorle, olio d’oliva, olio di palma.

– cera d’api, olio d’oliva, miele e talco profumato alla lavanda.

– olio di oliva, cera vergine, olio di mandorle e profumo di lavanda.

– olio d’olivo o di sesamo e mirra.

Per togliere il trucco

– latte d’asina, menta e miele.

– olio di ricino, timo e menta.

– olio d’oliva, acqua di malva e di melissa.

Bagno

– rosmarino cotto in acqua, il tutto allungato con acqua fredda.

– timo, mirra, origano, lavanda, cannella cotti in acqua.

– latte di capra, piante di palude, lavanda, menta, rosmarino, semi di finocchio macinati e bicarbonato.

– latte d’asina, petali di rose, cannella e sale.

– latte d’asina con rose, gigli, mirto, alloro, rosmarino e basilico.

Sbiancare la pelle

– bulbi di narciso macerati in acqua e limone.

– polvere di alabastro, olio di oliva e bicarbonato.

– gocce di limone, mirra, polvere di alabastro, olio di mandorle.

Antirughe

– cera d’api, incenso, olio di oliva e latte fresco.

– chiara d’uovo, fogli di menta e miele.

– zucca gialla lessata nel latte, foglie di finocchio selvatico, chiara d’uovo

– olio di mandorle, olio d’oliva, grani d’incenso e bacche di ginepro.

Astringente

– papaveri macerati in acqua gelida come astringente sulla pelle..

Per i capelli

– tuorlo d’uovo, aceto e fiori di iris.

– miele, olio d’oliva, vaniglia, cannella, aceto.

Alito cattivo

– masticare rametti di mirto.

– bicarbonato di sodio e foglie di alloro.

– menta e bicarbonato.

– pasticche di mirto, lentisco, finocchio, liquirizia.

– foglie di malobathrum (pianta simile alla cannella) ed anice.

– mirra, menta e cannella.

Depilazione

– olio d’oliva, pece e soda.

– pece greca sciolta in olio con resine e soda.

– noci bollenti sulla pelle (lo usava in particolare Cesare)

CURIOSITÀ: erano famosi i bagni nel latte d’asina di Poppea, utili per rassodare e ammorbidire la pelle.

Nel Medioevo invece troviamo un periodo buio, ci si truccava solo in occasioni speciali. Questo era dovuto al fatto che la Chiesa condannava queste pratiche e le considerava futili, o addirittura pericolose per l’integrità spirituale. Le donne dovevano avere un aspetto naturale con una pelle bianchissima a dare il senso di purezza e candore. L’unica cosa che si concedevano era un velo di rosso sulle gote e sulle labbra, usando polveri di minio (minerale di colore rosso) e zafferano. Per mantenere i denti bianchissimi facevano uso della salvia. I rapporti con le popolazioni germaniche diffusero la moda dei capelli dorati e per schiarirli usavano una mistura di tuorlo d’uovo, zafferano, fiori di ginestra e corteccia di sambuco. Inoltre per aver una pelle diafana, considerata all’epoca simbolo di nobiltà, venivano utilizzate paste simili ai nostri fondotinta, composti da ossidi di mercurio o argento misti a grassi vegetali o animali, oppure la ‘cerussa’ (o biacca di piombo).

Con l’avvento del Rinascimento, non ci fu solo la rinascita delle arti, ma ritornò anche il gusto per il classico e per la bellezza, intesa come perfezione ed armonia, tramite la ricerca di un incarnato perfetto e dell’esaltazione delle forme. Anche qui troviamo altre ricette a base di erbe realizzate allo scopo di esaltare la bellezza:

– per schiarire i capelli, venivano lavati con acqua di cinapro, zolfo e zafferano bollito;

– per ammorbidire la pelle del viso ruvida e arrossata, si faceva una miscela con biacca di piombo e olio di viola.

CURIOSITÀ: a quell’epoca la sporcizia era dilagante sia tra le classi più povere che in quelle più elevate. Si temeva di prendere il colera dall’acqua contaminata per cui veniva sostituita con l’uso/abuso di profumi a base di violetta, lavanda e fiori d’arancio.

Nell’epoca Vittoriana, tra il 1700 e il 1800, vigeva sempre la moda di un volto diafano, un look pallidissimo dalla pelle di porcellana. Forse per evitare di far uso della biacca come belletto bianco, perché ritenuto tossico, venne introdotto un accessorio molto utilizzato dalle dame, un oggettino lezioso e impreziosito da ricami, l’ombrellino parasole, come anche la veletta. Inoltre l’uso eccessivo di trucchi non era visto di buon occhio dalle classi più elevate, era appannaggio esclusivo di attrici e prostitute. Insomma, la perfetta dama vittoriana era naturalmente pallida, dimessa, delicata, e utilizzava il trucco senza esagerare.

Nei primi decenni del ‘900 cominciarono a nascere le prime case cosmetiche e cambiarono completamente i canoni estetici. Non più donne dimesse e dal colorito pallido.

Si comincia a fare uso di fondotinta, ciprie, rossetti, ombretti, tutti prodotti prevalentemente per sintesi di sostanze chimiche. Vengono messi da parte i prodotti naturali che vennero sostituiti da quelli derivati dal petrolio perché più economici, quindi più commerciabili.

Per avere prodotti di formulazione Bio, con sostanze naturali e vegetali bisogna aspettare gli anni ’60, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui è addirittura possibile personalizzare le creme in base alla propria pelle. In pratica prodotti a impatto zero per l’ambiente ma soprattutto che non facciano male alla pelle.

Tra le sostanze più utilizzate nella fitocosmesi di oggi, troviamo:

– germe di grano, olio di ciliegio, olio di soia, olio d’oliva, olio di mandorle, acque distillate aromatiche (acqua di rose, di fiori d’arancio), unguenti a base di burro (unguento per il corpo a base di cacao e carota, burro di karitè per massaggi al viso) e cere vegetali (cera carnauba, cera jojoba), ribes nero, etc…

IL RITO DI SAN GIOVANNI

La notte di San Giovanni, secondo un’antica leggenda, era considerata in grado di portare fortuna e prosperità. Tra i riti propiziatori e purificatori di questa notte considerata “magica” un ruolo di primo piano era svolto dalla celebre acqua di San Giovanni, la cui preparazione iniziava al momento del tramonto del 23 giugno. Per tradizione, le erbe e i fiori dovevano essere raccolti da mani di donna, possibilmente a digiuno e in numero dispari. Solitamente si raccoglievano un numero di 7 qualità diverse di fiori ed erbe aromatiche, come ad esempio artemisia, lavanda, malva, rosmarino, fiori di iperico, menta e salvia, come pure camomilla, papaveri, fiordalisi e, a volte anche rose, ovviamente scelti in base alle fioriture del territorio. L’iperico, invece, non poteva mancare, una pianta a base di un olio essenziale e derivati fenolici, tra cui un pigmento di colorazione rossa chiamato ipericina. Da esso deriva il nome di erba di San Giovanni, in quanto il colore rosso ricorda il sangue versato dal santo quando fu fatto decapitare da Salomé. L’iperico, quindi, è indispensabile nella preparazione dell’acqua di San Giovanni poiché si pensa abbia la capacità di scacciare gli spiriti malvagi.

LA PREPARAZIONE: i rametti e i fiori raccolti venivano immersi in un recipiente con dell’acqua, da porre all’esterno dell’abitazione per tutta la notte in modo da poter assorbire la rugiada del mattino, che, secondo la tradizione, riusciva a dare all’acqua poteri purificatori e curativi proteggendo da malattie, sfortuna ed invidia. La mattina dopo, il giorno di San Giovanni, l’acqua veniva utilizzata per lavare viso e mani, oppure per fare il bagnetto ai neonati o per rigenerare la pelle. Inoltre se fosse avanzata dell’acqua questa non si conservava ma doveva essere regalata.

Questo rituale ha origini molto antiche e si usava prepararla in diverse regioni italiane da nord a sud.

Nel video è possibile visualizzare le piante e le erbe aromatiche più utilizzate:

Latte sì, latte no!

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Il latte è un alimento che non dovrebbe mai mancare nella nostra dieta anche se, come per tutte le cose, deve essere introdotto con moderazione. Salvo nei casi di intolleranza è un alimento molto importante. Se si pensa che un bimbo si nutre solo di esso per la crescita, nei suoi primi mesi di vita, se ne capisce la sua importanza. Purtroppo su di esso ci sono molti pareri discordanti. Addirittura a questo alimento si attribuiva la causa dell’insorgenza di alcuni tumori, anche se non c’è nessun fondamento scientifico. Eliminare latte e suoi derivati dalla dieta non è necessario purché se ne faccia un consumo moderato e principalmente non ci sia una intolleranza al lattosio. Per quanto riguarda le quantità se ne consigliano  2-3 porzioni di latte o yogurt al giorno, pari a 250-375 ml, che consistono a poco meno di 2 tazze.

Perché è così importante?

Il latte è un alimento completo, abbiamo detto che i neonati si nutrono, nei primi mesi di vita, solo di esso. Le sue proteine, la caseina (80%) e la lattalbumina (20%), rappresentano 1/3 del fabbisogno medio giornaliero di un individuo e in più sono presenti anche i carboidrati, sotto forma di lattosio, importanti per lo sviluppo del tessuto nervoso. Inoltre è molto ricco di calcio, ma anche di fosforo e di vitamine del gruppo B e D e di acidi grassi. Infine i fermenti lattici presenti oltre che nel latte, nei formaggi ma soprattutto nello yogurt, portano altrettanto beneficio al nostro organismo. Questi favoriscono processi vitali indispensabili per lo sviluppo fisiologico, riequilibrano la flora batterica intestinale, ostacolando lo sviluppo di molti batteri dannosi, prevengono le infezioni intestinali, ripristinano la flora batterica dopo l’assunzione di cure antibiotiche, migliorano la digestione e il funzionamento intestinale e rafforzano le difese immunitarie.

Ma quali sono i pro e i contro?

Abbiamo detto che il latte è molto ricco di nutrienti ma per la presenza dello zucchero (lattosio) e dei grassi se ne consiglia un consumo moderato perché, oltre ad incidere sull’indice glicemico, potrebbe influire, nei pazienti a rischio, sui livelli di colesterolo.

Nei bambini, seppur alimento necessario per la crescita, ci potrebbero essere problemi di intolleranza al lattosio che potrebbero apportare sintomi poco piacevoli come disturbi gastrointestinali, gonfiore e dolore addominale. Fenomeno che dovrebbe risolversi, una volta formatosi l’enzima deputato alla digestione dello stesso.

Inoltre sfatiamo un mito: anche se il latte è ricco di calcio, non ci sono delle prove evidenti che esso sia protettivo per chi ha problemi di osteoporosi. Per di più non è l’unica fonte, ma possiamo introdurlo anche attraverso tanti altri alimenti.

Inoltre non stiamo a demonizzarlo per gli effetti dannosi in quanto se analizziamo ciò che mangiamo tutti i giorni sicuramente ci saranno tante altre sostanze sicuramente molto più dannose.

Ma come dobbiamo orientarci tra i tanti tipi di latte che troviamo in commercio?

Innanzitutto dobbiamo vedere l’origine del latte, con la nuova normativa deve essere indicata la provenienza: è preferibile quello di origine italiana.

Troviamo diverse tipologie in base al trattamento termico, qui sicuramente la scelta è dettata dal gusto: chiaramente il LATTE FRESCO, sempre pastorizzato ma a breve scadenza, sarà sicuramente migliore oltre che per il sapore anche rispetto alle qualità nutrizionali, ma il prezzo sarà meno vantaggioso rispetto al LATTE pastorizzato a temperatura elevata, che oltre a subire un trattamento termico a metà strada tra quello fresco e quello UHT, si mantiene in frigo fino a quasi un mese. Poi abbiamo il LATTE UHT e/o quello microfiltrato, che mantengono più o meno intatto il sapore del latte fresco, ma hanno il vantaggio di durare più a lungo. Infine troviamo quello per gli intolleranti, ovvero ad alta digeribilità, cioè senza lattosio. Tra le tipologie che variano in base al contenuto di grasso possiamo trovare quello scremato (non superiore allo 0,5% contenuto di grassi), parzialmente scremato (tra 1,5 e 1,8%) o intero (non inferiore a 3,5%).

Insomma per concludere non facciamoci spaventare da ciò che circola sul web e consumiamolo in quantità moderate e sicuramente ne trarremo solo i benefici, come per tutte le cose!!!

Fonte varia

 

Pin e Password

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Nell’era di Internet è diventato importante poter inviare messaggi che comunichino determinati fatti al destinatario senza rivelarne inavvertitamente altri, sia all’interessato sia a chiunque altro. Immaginiamo, per esempio, di voler pagare con la carta di credito. Trasmettere il solo numero di quest’ultima non è saggio. Perché questo messaggio essenziale sia efficace, il destinatario dovrebbe effettuare un trasferimento di denaro ogni qualvolta riceva il numero di una carta valida. Inoltre, qualcuno potrebbe intercettare il numero o persino creare un programma informatico illegale in grado di memorizzare i numeri delle carte di credito per fare acquisti sfruttando i conti altrui.

Usare un normale PIN non aumenta di molto la sicurezza, perché anch’esso deve essere trasmesso per mezzo della rete. I sistemi di sicurezza usano in genere un codice per confermare che il messaggio provenga da una fonte legittima; sono efficaci se il codice è sicuro ed oggi esistono molte idee per creare codici sicuri. Anzi, alcuni lo sono a tal punto che le forze dell’ordine vorrebbero bandirli perché possono consentire ai criminali di inviare messaggi che non verrebbero decifrati nemmeno se intercettati. Le associazioni che difendono le libertà civili vogliono, d’altronde, che la privacy degli individui sia tutelata dai ficcanaso del governo.

Un approccio alternativo al sistema in codice è quello che usa un “protocollo a conoscenza zero”: si tratta di un modo per convincere il destinatario che si è in possesso di un’informazione chiave, come un PIN, senza rivelare quale sia. Vi chiederete se tali protocolli esistano davvero: ebbene, negli ultimi anni i crittografi ne hanno inventati molti.

Solitamente l’accesso ad una risorsa avviene rivelando una chiave, che prende il nome di password, al custode della risorsa, che può essere una persona o un software, con l’annoso problema della gestione delle password. Invece con la crittografia a chiave pubblica, grazie al protocollo a conoscenza zero, all’accesso riusciamo a dimostrare la nostra identità senza rivelare la chiave privata e mediante tale identificazione sicura ci viene fornito l’accesso alla risorsa presente nel sistema.

Vediamo, adesso, con un semplice esempio come funziona il protocollo a conoscenza zero. Il “custode della risorsa” genera una frase che critta con la nostra chiave pubblica, e chiede al “Signor X” di rispedirgi la frase decrittata. Se la frase che il custode riceve, coincide con quella che ha trasmesso in precedenza, vuol dire allora che il Signor X è effettivamente la persona che ha effettuato l’accesso. Le prove di conoscenza zero sono probabilistiche poiché c’è sempre qualche possibilità che un imbroglione astuto trovi un modo per ingannare un verificatore onesto, ma il concetto fornisce un meccanismo di verifica piuttosto solido per un’asserzione mentre protegge tutte le informazioni ausiliarie correlate a questa affermazione.

Inoltre si utilizzano, oltre a PIN e password, anche dei codici di sicurezza, che ti vengono inviati tramite SMS, dopo aver effettuato l’accesso tramite le proprie credenziali, per essere certi che sia proprio tu e non qualcuno che si sia appropriato dei tuoi dati. Sono molti ad utilizzare questo metodo di accreditamento, specialmente se sono in essere transazioni bancarie, come quelle che si fanno tramite home banking, ma anche se si acquista su siti di vendite online, o per effettuare un pagamento sempre attraverso la rete. Ecco perché è molto importante conoscere l’affidabilità e la sicurezza adottata dal sito a cui stiamo accedendo, in particolar modo se si tratta di siti e-commerce.

Per essere certi che il sito su cui stiamo navigando sia sicuro e affidabile per prima cosa dobbiamo verificare che sia presente un bollino con la scritta “sigillo netcomm”, che di solito si trova in basso alla pagina web; bisogna accertarsi di effettuare pagamenti su pagine web protette, le quali sono riconoscibili in quanto l’indirizzo che compare nella barra degli indirizzi del browser comincia con “https://” e non “http://”. Inoltre, le pagine protette contengono un lucchetto visibile all’interno del browser (ad esempio nella parte in basso a destra o nella barra di navigazione). Cliccando due volte sul lucchetto, è possibile verificare l’esistenza di un “certificato” che garantisce l’autenticità del sito.

Quindi, prima di effettuare qualsiasi tipo di pagamento bisogna che vengano seguiti questi piccoli accorgimenti, per non avere brutte sorprese!

 

Come conservare i documenti

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Conservare alcuni documenti è sempre importante per svariati motivi. Ad esempio, le ricevute di pagamento sono importanti perché sono la prova dell’avvenuto saldo nel momento in cui qualcuno può avvalersi del mancato introito. Per quello che riguarda, invece, la documentazione fiscale è necessaria qualora venga fatto un accertamento sulle nostre tasse. Poi ci sono gli scontrini dei prodotti acquistati, che vanno conservati fino allo scadere della garanzia, per poterne usufruire in caso di necessità. Inoltre poi ci sono le ricevute delle visite mediche che vanno conservate per poter scaricare le relative spese dalla dichiarazione dei redditi per poi venire allegate ad essa.

La maggior parte di tale documentazione, però, non va conservata per sempre. Tale periodo corrisponde ai termini di prescrizione, ovvero il tempo entro cui una carta può essere richiesta dall’istituzione di riferimento o impugnata in caso di contestazione in presenza di eventuali errori.

Le durate non sono tutte uguali, ma variano a seconda del documento. Per cui è possibile evitare di accumulare indefinitamente tutte le eventuali ricevute e, quindi, periodicamente è anche possibile fare un po’ di pulizia nel nostro archivio, una volta sopravvenuto il termine di scadenza, evitando cosi un accumulo di carte che, oltre allo spreco di spazio, potrebbe causarne il caos.

Analizziamo la durata di archiviazione della documentazione classica che conserviamo giornalmente (in ogni caso si consiglia di prolungare la durata un po’ più a lungo del dovuto):

1 anno

  • Assicurazioni (ricevute di pagamento premi)

2 anni

  • Scontrini di prodotti acquistati (per tutta la durata della garanzia)

3 anni

  • Parcelle dei professionisti
  • Bollo auto

5 anni

  • Bollette di acqua, luce, gas e telefono
  • Bollettini ed F24 relativi ad ICI, Imu e Tasi (a partire dall’anno dopo il pagamento)
  • Tassa relativa ai rifiuti urbani (a partire dall’anno dopo il pagamento)
  • Spese relative al condominio
  • Ricevute di affitto
  • Quietanza di pagamento delle rate del mutuo
  • Dichiarazione dei redditi (a partire dall’anno dopo il pagamento, qualora preveda detrazioni per ristrutturazioni edilizie o riqualificazione energetica va conservata per 15 anni)
  • Ricevute delle spese detraibili
  • Multe stradali

10 anni

  • Estratto conto bancario
  • Estratto conto della carta di credito
  • Contratti bancari
  • Estratto conto del conto titoli

Per sempre

  • Atti notarili
  • Atti di compravendita
  • Atti di matrimonio, separazione, divorzio
  • Contributi previdenziali INPS
  • Referti medici

Oltre ad organizzare il nostro archivio in cartelle suddivise in maniera ordinata, in base al tipo di utenze, possiamo effettuare il salvataggio in maniera digitale. È previsto già per alcune utenze l’invio su e-mail personale al posto dell’invio cartaceo, con un risparmio notevole sia sulla carta che sulle spese postali. Di conseguenza si può prevedere di archiviare tali ricevute in cartelle su PC, oppure, per evitare che vadano persi in caso di rottura dell’apparato informatico, si può ricorrere ai servizi cloud, ovvero spazi virtuali in internet su cui è possibile salvare ed archiviare il proprio materiale. Quelli più utilizzati sono Dropbox e Google Drive.

In ogni caso, sia se si preveda un archivio cartaceo  sia che fosse utilizzato un archivio digitale, un consiglio è quello di suddividere una cartella per ogni utenza in modo tale da avere tutto in ordine nel momento in cui dobbiamo reperire la nostra ricevuta. Per aver un archivio davvero utile e funzionale bisogna seguire una regola fondamentale: l’ordine.

BUON LAVORO!

fonte Web